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1.3 Il cinema diventa digitale

Il cinema tradizionale, su un piano tecnico, è il risultato della combinazione di un processo fotochimico con uno fisiologico. Il primo è l'impressione dell'emulsione fotosensibile che riveste la pellicola, volto ad ottenere una successione di singoli fotogrammi. Se questi vengono riprodotti ad una data velocità si induce il secondo processo, legato alla percezione umana, della persistenza retinica, grazie al quale l'azione registrata ci appare continua. Il cinema digitale mantiene tale espediente per riprodurre il movimento, ma nel registrare le informazioni relative alla luce, in fase di ripresa, sostituisce la cinepresa a pellicola con la videocamera provvista di un sensore CCD, ovvero Charge-Coupled Device, dispositivo ad accoppiamento di carica. Questo circuito integrato è capace di convertire le radiazioni luminose in impulsi elettrici, che vengono subito ridotti a bit. Contrazione di binary digit, il bit è l'unità di misura minima, il componente atomico di qualsiasi dato digitale. Il risultato della ripresa è dunque una lunga sequenza composta solo da bit dal valore di 0 o 1, una forma illeggibile per l'essere umano ma necessaria perché i dati possano essere elaborati da un computer.

 

Walter Murch, vincitore di due premi Oscar nel 1996 per il missaggio audio e per il montaggio de Il paziente inglese (The English Patient, Anthony Minghella 1996), è stato il primo montatore a ricevere un premio per un film montato e mixato in digitale, con il sistema Avid.

Murch, che nel corso della sua carriera ha operato su diversi sistemi di montaggio (meccanici, elettronici analogici ed elettronici digitali), e che ben conosce i vantaggi e i limiti propri delle nuove tecnologie, si augura che il cinema possa presto completare la transizione di tutti i suoi settori verso le tecnologie digitali, a vantaggio di una totale integrazione tra le varie mansioni e tra gli strumenti.

Riguardo all’attuale condizione "ibrida" del cinema, che ha abbracciato il digitale in molti suoi settori ma che resta spesso ancora legata al supporto fisico della pellicola, Murch si esprime così:

Per quanto sbalorditivo possa essere vedere delle immagini proiettate in digitale (altrettanto o anche più definite della pellicola 35mm, senza nessuno di quei graffi, o sporcizie, o tremolii che infestano anche le prime copie di una stampa a 35mm) la verità è che l'industria cinematografica si è per 15 anni inesorabilmente digitalizzata dall'interno. I trionfi degli effetti speciali in digitale erano ovviamente già noti prima della loro apoteosi in Jurassic Park, Titanic, Star Wars - Episodio I, e Matrix. Ma l'arrivo della proiezione digitale scatenerà la capitolazione finale degli ultimi due capisaldi dell'eredità meccanico-analogica novecentesca della pellicola. Uno è la proiezione, alla fine del ciclo; l'altro è la fotografia originale, che dà origine all'intero processo. Attualmente, l'industria del cinema è un sandwich digitale tra due fette di pane analogico.[12]

La ripresa e la proiezione, i due momenti toccati dalla presenza della pellicola, hanno già avviato la propria migrazione verso soluzioni interamente digitali, e sono già molti i film realizzati interamente con le nuove tecnologie.

Gli autori che hanno intrapreso questo percorso, inevitabilmente pieno di incertezze circa la resa finale per mancanza di esperienze guida legate all'uso delle nuove tecnologie, possono essere ascritti alla cerchia degli avanguardisti e degli sperimentatori.

 

Antonio Costa già a metà degli anni Ottanta riportava come la tecnologia interna all'industria cinematografica avesse sempre permesso agli autori di fuoruscire dagli standard lavorativi, mediante processi e tecniche innovative che influiscono pesantemente sul linguaggio del film e sulla sua valenza come espressione artistica:

Sono semmai innovazioni meno spettacolari che gettano le premesse per lo sviluppo di nuovi usi e di nuove configurazioni del linguaggio cinematografico. Dagli anni trenta ai sessanta tali evoluzioni si succedono incessantemente. [...] La diffusione di cineprese più maneggevoli e leggere, del formato ridotto e il progressivo miglioramento delle tecniche di ripresa diretta del suono favoriscono la fuoriuscita dagli studios. In sintesi, tali evoluzioni tecnologiche favoriscono la rottura degli schemi tradizionali (produttivi ed espressivi) e la diffusione di usi del cinema che in precedenza erano stati fatti solo eccezionalmente.[13]

Una delle conseguenze dell'alleggerimento del lavoro di ripresa è, ad esempio, una ritrovata enfasi della dimensione performativa del regista e dell'attore. Ci riserveremo di indagare più avanti, nel corso di questo lavoro, alcuni notevoli esempi al riguardo.

 

Le tecnologie "invisibili" non lasciano traccia di sè nel film finito, ma sono determinanti per la sua realizzazione. È il caso di film come Un sogno lungo un giorno (One for the heart, 1982), musical sperimentale girato interamente in studio da Francis Ford Coppola con l'ausilio di telecamere e monitor affiancati alla macchina da presa, pre-visualizzando l'azione e affinando l'inquadratura e le scelte del regista. Oggi i monitor di controllo sono presenti su ogni set.

Anche le innovazioni più spettacolari, quelle che permettono all'impossibile di visualizzarsi sullo schermo, arrivano a sconvolgere le modalità di produzione e le attese degli spettatori, costituendo a volte la maggiore attrazione di molti titoli contemporanei.

 

Andrea Romeo, curatore delle prime edizioni del Future Film Festival, uno dei principali festival cinematografici europei dedicati all'animazione, tradizionale e digitale, e agli effetti speciali, nota che il digitale negli effetti speciali consente di lavorare con immagini indipendentemente da ciò che è possibile porre materialmente davanti alla macchina da presa:

La visionarietà degli autori cinematografici quindi ha da sempre dovuto tenere in considerazione quelle che erano le effettive possibilità di manipolare cinematograficamente il profilmico disponibile per ottenere l'immagine voluta. Con lo sviluppo delle nuove tecnologie di animazione digitale, dagli inizi degli anni Ottanta, questa "limitazione" è poco a poco venuta a cadere; utilizzando i mezzi informatici per la creazione e la manipolazione dell'immagine infatti, i creatori di cinema hanno cominciato a poter realizzare parti dei loro film, o anche solo sezioni dei loro fotogrammi, prescindendo dalla realtà profilmica che avevano a disposizione. La grande rivoluzione del dispositivo digitale è infatti quella di ridurre le immagini a un insieme, più o meno fitto, di informazioni (pixel), che possono essere isolate una dall'altra e mutate senza che ciò influisca sulle informazioni contigue. [...] Grazie alla discrezione, questa grande risorsa che è alla base del nuovo dispositivo digitale, i registi cinematografici hanno potuto sostituire parte delle immagini da loro create con immagini digitali trasportate sulla pellicola a una definizione tale da non rendere evidente la discontinuità tra fotografico e digitale.[14]

In molti casi, il digitale ha semplicemente soppiantato e reso obsolete tecnologie preesistenti: è così diventato sconveniente costruire e riprendere pupazzi robotici (animatronics), come quello impiegato per E.T. l'extra-terrestre (E.T. the Extra-Terrestrial, Steven Spielberg 1982), così come la ricostruzione di veicoli o astronavi, una volta realizzati in scala, oggi vengono più facilmente ricostruiti con un software di modellazione tridimensionale.

 

Il cinema è sempre stato il regno del meraviglioso: il livello di fotorealismo è sempre proporzionato alla capacità del pubblico di percepire il trucco cinematografico come tale.

Lo scimmione del King Kong del 1933 (King Kong, Merian C. Cooper, Ernest B. Schoedsack), realizzato con un modellino animato con la tecnica della stop-motion, era così credibile che alcuni spettatori fuggirono dalla sala, presi dal panico. Nel 2005 Peter Jackson ha diretto il sequel del film, in cui Kong è animato con la tecnica del motion capture, che fa corrispondere ai movimenti di un attore in carne ed ossa, vestito di una tuta dotata di sensori, i movimenti del modello tridimensionale al computer. L'effetto, arricchito da una grande espressività facciale del modello 3D, è perfettamente fotorealistico agli occhi dello spettatore di oggi.

 

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