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1.4 La malleabilità dei numeri

Il trattamento del prodotto cinematografico prevede diversi stadi di lavorazione, ed ognuno di essi può essere potenziato dall'uso delle tecnologie digitali, impiegabili per catturare, archiviare e trasmettere immagini in movimento in alta risoluzione.

Non si è ancora arrivati alla definizione di una metodologia procedurale standard, per cui ogni film portatore di innovazioni ha seguito un suo percorso, senza però definire linee guida sugli strumenti da utilizzare o su soluzioni da elevare a modello. L'esperienza accumulata in questi primi anni di rodaggio del cinema digitale non è comparabile a quella, centenaria, dell'industria cinematografica pre-digitale.

Alcuni cineasti hanno però recepito il messaggio: il digitale dona loro maggiore libertà espressiva e offre una migliore esperienza lavorativa, garantendo grande controllo del lavoro in ogni sua fase e costi e tempi assai ridotti rispetto a quelli del cinema tradizionale.

La quantità di combinazioni possibili, strumenti e soluzioni tecniche pone il regista e il direttore della fotografia nella stessa situazione di un pittore che ha a disposizione un'intera coloreria, diviso tra la tentazione di usare olii, acquarelli e acrilici sulla stessa tela, e l'esigenza di mantenere un codice stilistico coerente. La natura numerica del dato digitale si presta bene a manipolazioni, anche distruttive, dell'immagine ripresa: mescolanze tra attori in carne ed ossa e personaggi generati dal computer, moltiplicazione di elementi sullo schermo, ricostruzione in computergrafica di scenari fotorealistici o del tutto fantastici. «Per la prima volta, se qualcosa può essere immaginata, può diventare un 'film'.»[15]

 

Effetti notevoli di CGI (Computer-generated imagery, immagini generate al computer) si ritrovano in Forrest Gump (Forrest Gump, Robert Zemeckis, 1994). Il film, vincitore di un Oscar per gli effetti speciali, si apre su una carrellata ad inseguire il volo di una piuma; nel corso della storia poi, il protagonista incontra e stringe la mano a John F. Kennedy. Andrea Romeo commenta così questo espediente tecnico-narrativo:

Sono state dunque ricreate al computer la mano di Hanks e quella del Presidente, e successivamente animate in una stretta forte e veloce in modo da non far comparire il trucco. Siamo di fronte questa volta a un esempio molto riuscito di fotorealismo, in cui l'immagine fotografica viene sfilacciata in tutte le sue componenti per poi essere ricomposta parte per parte. Il fotografico viene osservato al microscopio sotto i ferri del computer, per poterne carpire l'essenza e riprodurla con immagini di sintesi, ma tutto ciò viene fatto al servizio della trama e in funzione di un'esigenza narrativa, così da simulare con l'animazione digitale la pellicola cinematografica e da rendere allo stesso tempo tutti i personaggi, sia quelli storici che gli attori, dei grappoli di pixel.[16]

La grana fotografica deve quindi essere traslata in pixel, in dati digitali, per poter essere lavorata e miscelata ad altri elementi immaginifici.

La natura digitale degli elementi multimediali, siano essi visivi, acustici, testuali, figure solide o altro ancora, è il collante che li rende intercompatibili.

Andrea Balzola, docente presso l'Università degli studi di Roma “La Sapienza”, traccia un importante filo conduttore tra tutte le forme del multimediale.

Secondo Balzola, l'applicazione ideale delle arti multimediali si ha con il digitale, tecnologia necessaria alla loro piena realizzazione. Tanto necessaria da costituire lo specifico multimediale, ciò che lo differenzia caratterialmente dall'arte non riproducibile attraverso il sistema digitale:

L'idea di multimedialità precede l'innovazione tecnologica che la concretizza: il digitale. Il digitale diventa quindi lo specifico della multimedialità contemporanea, ciò che segna la discontinuità con lo specifico delle tecniche fotografiche, cinematografiche, video e audio elettroniche analogiche, e nel contempo ridefinisce il loro statuto linguistico. La possibilità di sintesi numerica, quindi di trasferimento, elaborazione e interazione (interdipendenza) di qualsiasi testo, immagine o suono, nell'ambito dello stesso metamedium, indipendentemente dalla fonte originaria (che diventa una sua «periferica»), segna la terza «rivoluzione» nell'ambito del rapporto tra arte, comunicazione e tecnica. La prima rivoluzione è stata quella della riproducibilità tecnica (dalla stampa alla fotografia e al cinema), descritta da Walter Benjamin negli anni Trenta; la seconda rivoluzione si è realizzata con la trasmissione e la riproducibilità tecnica a distanza in diretta (telegrafo, telefono, radio, televisione), studiata nei suoi effetti psicologici e sociali da Marshall McLuhan nei primi anni Sessanta; la terza rivoluzione, introdotta alla fine del Novecento, è appunto quella che alcuni hanno definito, parafrasando Benjamin, della riproducibilità digitale (F. Ciotti e G. Roncaglia, 2000) e che noi preferiamo definire la sintesi digitale connettiva (computer e rete).[17]

La malleabilità del film per mezzo del computer permette di ottenere in pochi istanti ciò che i laboratori di stampa impiegavano molto tempo a realizzare, come le alterazioni cromatiche o le dissolvenze incrociate, e questo con un controllo totale e immediato, lasciando ampio spazio alla sperimentazione e all'uso, talvolta all'abuso, di tali espedienti tecnici.

Tra tutte le fasi del processo di lavorazione di un film, la prima ad aver sostituito i suoi criteri tradizionali per una nuova metodologia integrata con la tecnologia digitale è stata la post-produzione.

La prima operazione della post-produzione digitale è l'acquisizione, per i film girati in pellicola, o la cattura, per le immagini riprese da una camera digitale. Sulle immagini digitali vengono poi effettuate le operazioni di editing, compositing ed elaborazione di effetti speciali, correzione del colore, riduzione del rumore visivo e della grana.

Walter Murch individua le migliorìe apportate dai sistemi di montaggio non lineari: si guadagna maggiore velocità, grazie all'accesso diretto istantaneo al materiale; è ridotto il costo per la copia lavoro, che si può anche non stampare; molti processi che richiedevano assistenti al montaggio sono ora eseguiti dal computer, o non sono più necessari; il montaggio è realizzato senza distruggere il filmato nella forma originaria del girato; l'immagine elettronica non si usura con la riproduzione; gli effetti speciali elettronici vengono applicati istantaneamente; il regista può vedere con praticità diverse versioni di montaggio; è possibile sincronizzare infinite tracce audio al video, con una precisione un tempo impensabile.

Il flusso di lavoro tradizionale, in post-produzione, prevede la creazione dell'intermediario, una pellicola impressionata tramite il processo fotochimico dell'esposizione a contatto con il negativo, da cui poi far derivare le copie per la distribuzione nelle sale.

Il risultato del lavoro di post-produzione digitale è invece un intermediario digitale (DI, digital intermediate), capace di generare un singolo master universale, una versione del film indipendente dalla risoluzione, che permette di ottenere copie del film per l'intera filiera distributiva: pellicola tradizionale, DVD, TV standard e HDTV, DTV, Digital Cinema, fino ai microschermi della telefonia mobile.

L'introduzione del singolo master universale non è quindi dovuta esclusivamente al fatto che esso rappresenti una più flessibile alternativa al metodo tradizionale, ma anche alla sua conformità con una nuova visione multimediale del medium cinema.

 

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