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2.4 Operazioni sulla pellicola digitale

Il termine «post-produzione» tipicamente indica l'insieme di quelle operazioni nella lavorazione di un film che seguono la ripresa e permettono il confezionamento dell'opera come prodotto finito.

Il cinema digitale, con il suo nuovo apparato tecnologico, espande la gamma di operazioni che è possibile e necessario eseguire in sede di post-produzione, tanto che il tempo da destinarvi diviene sensibilmente superiore rispetto a quello impiegato per le riprese.

L'acquisizione della pellicola, procedimento effettuato solitamente tramite telecine virtuale, dà origine al Source Master (SM).

 

Honolulu Baby (Maurizio Nichetti, 2001) è stato il primo film in Europa il cui processo di post-produzione è stato realizzato interamente in digitale.

Il riversaggio della pellicola su supporto digitale, e quindi l'elaborazione digitale delle immagini alla risoluzione di 2K, costituiscono un pioneristico procedimento tecnico, che era stato utilizzato in precedenza solo per un altro film al mondo. Per Fratello, dove sei? (O Brother, Where Art Thou?, Joel e Ethan Coen, 2000) si era fatto uso per la prima volta di un intermediario digitale che contenesse il film nella sua interezza. Inizialmente la pellicola è stata scansionata a 2K con il telecine digitale Datacine Spirit, mentre la correzione colore è stata eseguita mediante il sistema MegaDef Pandora; il film corretto in digitale è stato poi riportato su pellicola con il registratore Lightning II Kodak.[70]

 

Massimo Germoglio, montatore di Honolulu Baby, ricorda come l'intervento digitale servisse ad «assoggettare la tecnologia al film, alla sua storia, alla narrazione che il film stesso richiedeva»[71]:

Tutto il montaggio è stato passato in digitale, super35 e poi in Cinemascope. Questo processo apre un ventaglio di possibilità creative immenso. Ci sono 20 minuti di effetti speciali, fatto inusuale in Italia, che spero siano 'invisibili' visto anche che non stiamo parlando di un film di fantascienza. Anche il graphic design per i titoli di testa e di coda ha richiesto una cura formale non indifferente, ma certo non fine a sé stessa, sempre subordinata al film.[72]

Nel film si nota come sia stata rivolta una cura particolare nel caratterizzare i luoghi della storia con un lavoro speciale sul colore: la Milano da cui l'impiegato fugge è resa ancora più grigia; i territori sudamericani dove egli trova la serenità sono invece saturi di colori caldi.

 

Un film che ha adottato lo stesso procedimento di digitalizzazione del girato in pellicola, con un occhio di riguardo all'ottimizzazione delle risorse al fine di ridurre i costi totali di produzione, è Jason X (James Isaac, 2001), splatter dall'umorismo autoreferenziale e dallo scarso successo commerciale.

 

Dennis Berardi, supervisore degli effetti visivi del film, ripercorre così alcune fasi del suo lavoro:

Solitamente, ciò che accade nei lungometraggi è che il film sia girato su pellicola 35mm, e che vengano poi digitalizzate solo quelle scene su cui si deve operare. Potremmo digitalizzare forse quindici inquadrature, forse cento. Per questo film digitalizziamo l'intero film: ogni singolo fotogramma ripreso esiste in versione digitale, che conserviamo nell'archivio digitale globale del film. Otteniamo così l'opportunità eccezionale di operare sul film come non era mai stato possibile. Ogni fotogramma può essere modificato, corretto nei colori, ritoccato con immagini generate al computer, disposto a strati e composto con altre immagini. Abbiamo disegnato il look dell'intero film fotogramma per fotogramma. Generalmente i film vengono girati con quattro perforazioni [...]. Questo film è girato con tre perforazioni sul 35mm, così da risparmiare del 25% la quantità di pellicola impressionata, per riversare il film in alta qualità alla risoluzione di 1920 per 1080 pixel.[73]

Dopo la creazione di un intermediario digitale in alta qualità, il DM (Distribution Master), destinato alla proiezione digitale e dei formati per i diversi canali distributivi, come TV, HDTV, DVD, e 35mm per la proiezione analogica, la post-produzione si chiude con l'archiviazione.

Gli impianti di post-produzione devono attrezzarsi con dispositivi capaci di gestire immagini digitali della più alta qualità possibile, trasferibili velocemente da un apparato all'altro, organizzate in un archivio sicuro e immediatamente consultabile.

L'archivio digitale è il sistema in cui i file delle immagini e i metadati associati vengono conservati.

Il singolo master universale non può essere in pellicola ma deve necessariamente essere digitale, perché se così non fosse, si avrebbe perdita di definizione ad ogni successiva acquisizione.

Per il cinema digitale la codifica Motion JPEG 2000 sembra essere la più idonea, perché tale codec è predisposto per la trasmissione via rete, scalabile, e permette la coesistenza di contenuti compressi senza perdite, senza perdite visibili, e con perdite.[74]

Inoltre, è fondamentale che per lo spettatore il film digitale abbia una resa visiva percepita come pari o superiore a quella della pellicola. Senza tale elemento verrebbero a mancare i presupposti per la transizione dal sistema analogico a quello interamente digitale.

È comunque vero che sono sempre necessari riversaggi periodici per preservare il supporto dagli effetti del tempo, sia nel caso del film in pellicola, sia che si usino nastri digitali o dischi digitali.

Il film non è più identificato con il suo supporto, può essere trasferito su supporti di archiviazione di nuova generazione in maniera lossless, cioè senza che alcun dato venga alterato o perduto.

Un archivio digitale è consultabile tramite ricerche mirate, dato che i metadati associati alle immagini permettono una catalogazione estesa.

I problemi dell'archiviazione di file multimediali sono legati soprattutto alla questione della compatibilità "in avanti", vale a dire alla possibilità o meno, in futuro, di disporre di strumenti capaci di leggere correttamente i dati archiviati.

Operare su immagini in alta definizione, apportando modifiche ai file originali, richiede infatti un sistema che conservi traccia di tali cambiamenti.

 

Negli studi di post-produzione, tra gli strumenti del montatore ormai non figurano più le forbici, sostituite dal più funzionale mouse.

"Avid", "Apple Final Cut Pro", "Adobe Premiere" sono le soluzioni informatiche più diffuse per il montaggio video professionale e semi-professionale. Tali software vengono definiti NLE, sistemi di editing non lineare, per via della loro possibilità di accedere, senza dover scorrere il filmato, ad un suo punto specifico.

Sergej Ejzenštejn, nella sua Teoria generale del montaggio, concepisce una ripartizione strutturale del processo creativo del montaggio. In essa, si può distinguere un montaggio orizzontale, che agisce sul susseguirsi delle immagini nel tempo, e uno verticale, che regola la sovrapposizione di più piste audio all'immagine. Sebbene Ejzenštejn mirasse al contrappunto audiovisivo, è sorprendente notare la grande somiglianza tra il modello ejzensteiniano e l'interfaccia grafica di un qualunque software NLE, in cui su una timeline orizzontale si susseguono gli stacchi, e ogni traccia audio è identificata da una timeline sovrapposta in verticale alle altre.

In opposizione al montaggio orizzontale, che attua la comune successione e concatenazione di inquadrature sonorizzate, il montaggio verticale implica la differenziazione di più «battute audiovisive», come spiega Ejzenštejn:

Certamente tutti hanno visto una partitura orchestrale. Vi sono diversi pentagrammi, in ognuno dei quali è scritta la parte di un particolare strumento o di un gruppo di strumenti affini. Ogni parte è sviluppata graficamente in senso orizzontale. Ma non meno importante è la struttura nel senso verticale che collega tutti gli elementi dell’orchestra, ciascuno entro una data unità di tempo. Accompagnando la progressione della linea verticale verticale che avanza sulla partitura orchestrale, si svolge, sviluppato orizzontalmente, il complesso e armonico movimento musicale dell’intera orchestra. Allorché dall’immagine della partitura musicale passiamo a considerare la partitura audi-visiva, vediamo che alle parti strumentali deve essere aggiunta una nuova parte: e cioè, un «pentagramma» di elementi visivi in successione, e corrispondenti, secondo le proprie leggi, al movimento della musica e viceversa.[75]

Il «pentagramma» cui Ejzenštejn si riferisce è quindi sia la battuta della partitura musicale, sia la particella audiovisiva oggi rappresentata dal clip dei software di video editing.

Il sincretismo semiotico che ha luogo con il montaggio verticale porta inoltre alla fusione dei diversi piani dell'audiovisivo, sostenendo una funzione collante che fa percepire le immagini in successione come contigue.

 

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