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4.4 Leggerezza del digitale

Catturare le immagini e manipolarle in tempo reale sul monitor di un computer riduce le differenze tra la prefigurazione visiva che risiedeva nella mente dell'autore e il prodotto finito. Questo è il motivo per cui l'elettronica analogica prima, e l'elettronica digitale poi, hanno fatto la loro comparsa tra gli strumenti della regia come dispositivi di controllo, o di revisione immediata del girato. A tutt'oggi, in Italia, le cineprese in uso sui set dei film girati in pellicola sono dotate di un sensore CCD che permette di visualizzare l'inquadratura su più monitor di controllo presenti sul set. Moviecam e Panavision, due aziende tra le maggiori fornitrici di macchine da presa a pellicola, integrano tale sistema di video assist in tutte le loro macchine di recente produzione.

Così il regista dispone di un'immagine molto fedele a quella impressionata sulla pellicola, con cui condivide proprietà come la porzione di azione ripresa, o il fuoco dell'immagine. La segretaria di edizione, il fonico ed altri membri del cast tecnico potranno operare guardando verso il monitor, ad una certa distanza dal set per non intralciare chi vi opera direttamente.[142]

Abbiamo in parte già affrontato la questione delle tecnologie "invisibli", osservando l'uso del video assist sul set di Francis Ford Coppola nel 1982.

Le videocamere digitali offrono quasi tutte la possibilità di vedere cosa si stia inquadrando attraverso uno schermo LCD integrato. A differenza del mirino monoculare, lo schermo LCD non richiede all'operatore di portare la videocamera al volto, per controllare l'inquadratura.

Le riprese effettuate con le nuove videocamere, quindi, godono di una particolare leggerezza, che permette loro di inseguire il soggetto, nascondersi dietro ad esso, saltare o fermarsi laddove non si può montare una macchina da presa. Forse Cesare Zavattini, teorico del "pedinamento" dell'uomo comune allo scopo di tradurre eventi reali in storie, avrebbe apprezzato l'uso di leggere videocamere DV.

David Lynch ha girato il suo Inland Empire (2006) in Digital Video con videocamere semiprofessionali Sony DSR-PD150, che solitamente vengono adoperate per documentari per la televisione perché estremamente compatte e maneggevoli.

Lynch afferma:

Per me, non c'è via di ritorno. Ho chiuso con la pellicola. Amo l'astrazione. Il film è un bel medium, ma è molto lento e non ti dà modo di provare molte cose. Con il video digitale, hai tali possibilità. E in post-produzione, se puoi pensare una cosa, puoi farla.[143]

Il regista danese Lars von Trier, noto per i suoi film dissacratori e provocanti, ma anche per le innovazioni teoriche che questi portano con sè, nel 2000 gira Dancer in the dark, in digitale. Per una scena musicale del film, dispone oltre un centinaio di videocamere DV sul set, per riprendere l'azione dal maggior numero possibile di punti di vista. In fase di montaggio, ha poi scelto quale fosse di volta in volta il punto di vista da mostrare.

Con un altro suo film, Dogville (2003), von Trier ha dimostrato che videocamere DV possono operare anche insieme a star di Hollywood come Nicole Kidman, e non solo in produzioni minori. In questo caso quella del digitale non è stata una scelta economica, bensì stilistica. Anche in tale situazione von Trier ha sfruttato appieno la leggerezza dell'occhio digitale, ad esempio appendendo le videocamere a binari posti in alto sul set, e facendole poi scorrere sopra l'azione da riprendere.

 

Giovanni Spagnoletti, studioso di cinema, nonchè direttore della rivista “Close-up” e del Pesaro Film Festival, in un suo saggio in cui mette in discussione la rivoluzione del cinema digitale, fa una distinzione tra il digitale “caldo”, come quello usato dal gruppo danese che prende il nome di Dogma ’95, e il digitale “freddo”, utilizzato soprattutto nel cinema americano dei grandi effetti speciali:

All’idea affascinante, ma borghese, del regista demiurgo che piega la realtà a significare la propria visione del mondo, i primi registi “dogmatici”, da Lars von Trier […] a Thomas Vinterberg […] oppongono l’idea, ereditata o meglio mimata dalle nouvelles vagues degli anni Sessanta, di un cinema come specchio o finestra del mondo dove lo sguardo è oggettivo, obiettivo e assolutamente disinteressato. […] Il digitale, con la sua fredda piattezza, con i suoi colori spogli e disadorni, con la sua capacità di tuffarsi nell’ambiente, si presta meglio di ogni altra forma di ripresa a questo processo di voluta sottrazione. Un processo punitivo, dove anche artifici come il doppiaggio sonoro o le luci del direttore della fotografia divengono superflui».[144]

Ma le proibizioni imposte dai "dieci comandamenti" dogmatici non sono forse un comodo trucco per elevare a teoria quelle che erano già le più semplici esigenze del cinema low-budget? Non è contraddittorio esaltare la pellicola, e non farne poi uso? La pensa così Valeria De Rubeis:

L'operazione Dogma '95 è molto astuta perché sfrutta l'avvento del digitale con il richiamo a un passato in cui le correnti teoriche sono alla base della produzione cinematografica. [...] In tal modo i "dogmatici" sono riusciti a dare uno statuto ontologico alla rivoluzione informatica.[145]

Il voto di castità di Dogma '95 si chiude formalmente dieci anni dopo la sua nascita, nel 2005.

 

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